Ultimamente faccio fatica a capire di cosa parliamo quando diciamo di parlare di lavoro.
L'argomento è sempre molto attuale in Italia, in particolare all'altezza delle lettere L ed O, ovvero inizio e fine percorso lavorativo.
In questi giorni è più in auge l'argomento dopo-lavoro, ma non quella bella attività, sana e spontanea, dei ferrovieri, che dopo otto ore di turno massacrante hanno ancora voglia di fermarsi in stazione ad inventarsi qualcosa di creativo. No, si parla di dopo-lavoro, ovvero pensioni. Insomma, per affrontare la riforma del lavoro si comincia dalla fine, dalle pensioni... Se lo dicono a Steve Jobs, con la sua bella mente lucida ed analitica, ride da oggi fino a domani (quindi qualcuno per favore glielo dica, almeno gli diamo un po' di sollievo in un momento difficile).
Io quindi mi domando: non sarebbe meglio parlare di lavoro cominciando dall'inizio?
Forse dovremmo pensare ad una riforma globale che renda il mondo del lavoro (non chiamiamolo "mercato del lavoro", così freddo e riduttivo) realmente accessibile e più vicino ai giovani, e poi da lì studiare percorsi nuovi che conducano fino alla pensione. Per quel che possa valere la mia opinione, secondo me andrebbero sostenute ed incoraggiate tutte quelle iniziative in favore della flessibilità, dalla possibilità di orari differenziati a quella di lavorare anche non in ufficio (quando il tipo di lavoro lo permette), creare micro-gruppi di tre-quattro colleghi che debbano garantire obiettivi ed un monte ore totale, ma che possano poi organizzarsi autonomamente il lavoro al loro interno, e così via. Tutte iniziative, insomma, che realmente permettano di avviarsi al lavoro senza prendere la classica tranvata costituita da salto nel vuoto con triplo avvitamento, cioè: 1) capo inflessibile, 2) colleghi str...; 3) compenso misero!
Io inoltre mi domando: non è forse il caso che a parlare di regole di lavoro che cambiano siano quelli che a tali regole dovranno sottostare?
Ma cosa ne sanno 70enni imbolsiti da privilegi e diritti acquisiti, di cosa voglia dire lavorare senza tutele, senza previdenza, senza prospettive! Ma cosa ne sanno 40enni ereditieri che in fabbrica non hanno passato neanche un giorno, che alla catena di montaggio non sono passati neanche per gli auguri di Natale! Ma cosa ne sanno politici in mano ai palazzinari e palazzinari di politici di come si sta appesi per ore ad un ponteggio più precario... Il movimento "Forchette Rotte" (http://www.forchetterotte.it/) a Palermo sta facendo piccoli miracoli, tipo portare la regione a prorogare un bando troppo estivo: ma che lavoro fa realmente chi quel bando l'ha scritto ed emanato? Perchè dobbiamo parlare di miracoli, quando parliamo di lavoro?
Pressapochismo, leggerezza, approssimazione... Questo c'è quando parliamo di lavoro!
E alla fine ancora mi domando: ma quando cominciamo veramente a parlare di lavoro!?
Il problema forse è che se ne parla troppo ma in modo sbagliato ed inutile. Io suggerisco di smettere di parlarne e di cominciare ad assumere precari, pagare e nn sfruttare chi ti offre un servizio qualificato," illuminare" chi lavora in nero...
RispondiEliminaDopo anni studio e contrattini a tempo determinato, vorrei tanto non balbettare quando qualcuno mi chiede: -Ma tu, che lavoro fai?! -Panico e paura...
Ciao Angela =)