A Natale bisogna essere buoni, a Carnevale bisogna essere allegri e divertirsi, a Pasqua e pasquetta è bene essere ecologisti, a Ferragosto bisogna essere al mare e al Primomaggio bisogna essere ovvi.
Il primo di maggio, impudente festa del lavoro, per essere in tema con la festa, con il clima da Primomaggio, bisogna avere indipendentemente dall'età la magliettina a maniche corte, i jeans comodi e dire ovvietà. Il repertorio delle ovvietà da dire è ampio, quindi è difficile non essere a tema, non preoccupatevi: puoi dire che vanno celebrati tutti quelli che sono morti per lavoro e mestamente ci puoi mettere dentro anche carabinieri, poliziotti & co., ma mestamente, perchè rischi di andare fuori tema; puoi parlare abbondantemente e con ricchezza di dettagli e statistiche dei ricercatori universitari, che con i loro studi lavorano al futuro di un Paese che invece li ha dimenticati negli scantinati dei laboratori e della precarietà, ma non parlare troppo di quelli che fanno studi di biologia, altrimenti gli ambientalisti più estremisti si arrabbiano e spaccano il laboratorio (insomma sei a tema se a jeans e magliettina aggiungi il cane a spasso); puoi parlare in lungo e largo degli esodati, ma lascia stare direttori di banca con intoccabili tredicesima e quattordicesima, lascia stare.
Per essere proprio proprio da Primomaggio e se magari hai un ruolo di rilievo nelle politiche sociali del Paese, puoi anche fare un appello alle istituzioni perchè facciano qualcosa per arginare la disoccupazione giovanile, puoi per esempio organizzare un grande evento, riempirlo di luoghi comuni (festa nella festa!), puoi alternare arte e riflessione, puoi avere facce di circostanza, puoi chiedere agli artisti di fare loro l'appello, che così è più cool e a loro aumentano i follower su twitter, ma mi raccomando: non chiedere cosa faranno domani tutti i montatori del palco, i tecnici, gli elettricisti. Non chiedere quanto dovranno contrattare domani tutti i musicisti (star escluse) per avere una serata in un pub a 70 € a persona e in nero; non chiedere quanti dei ragazzi del pubblico hanno un lavoro.
Mi raccomando, non ci rovinare la festa.
Benvenuti!
13/104 è il numero magico, e ora? E ora è tutto da scoprire, sicuramente il meglio arriva da adesso in poi... Buona lettura!
Visualizzazione post con etichetta disoccupazione giovanile. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta disoccupazione giovanile. Mostra tutti i post
mercoledì 1 maggio 2013
venerdì 12 aprile 2013
Contro gli sprechi
Peggio della mancanza di lavoro, secondo me, c'è solo lo spreco di lavoro. E più è alta la penuria di lavoro, più è offensivo il suo spreco.
Viviamo tutti un momento critico: per i più giovani sono difficoltà respirate attraverso i pori della pelle tutti i giorni, tutti i santi giorni, festivi e feriali chissà per quanto tempo. Per i loro genitori è l'ansia di non aver saputo costruire nulla di più solido di un'effimera precarietà che in troppi hanno l'impudenza di chiamare "flessibilità". Per la generazione dei nonni è piuttosto la confusione, a tratti l'impotenza e un potere che è quasi una condanna, condanna a restare, loro malgrado, nei ricordi degli altri come quelli che non hanno capito.
In questo periodo più che mai credo che sul lavoro dovrebbe essere declinata la pertinenza, nel pieno del suo significato: le persone dovrebbero svolgere il lavoro per cui si sono preparate, appassionate. Dovrebbero svolgere un lavoro che sanno fare bene, e solo quello: le parrucchiere non dovrebbero sbagliare colore o piega, i meccanici non possono sbagliare i pistoni. I giornalisti devono usare l'obiettività, e se non la conoscono che la imparino o si diano al romanzo.
C'è fin troppa gente in giro che si accontenta di un lavoro qualunque mentre cerca il lavoro di una vita, e che nell'accontentarsi però si appoggia come stampelle a serietà e professionalità e va avanti dignitosamente.
Per contro c'è pure fin troppa gente che scivola su allori regalati, dalle capacità evanescenti che occupano spazi impropri, gonfiati come grigie bolle di sapone dall'insolenza e la tracotanza.
Dovremmo andare verso un'ecologia del lavoro, riflettere su un sistema sostenibile e più giusto, che non preveda sprechi e scorrettezze, che rimetta tutto al suo posto, che rifiuti meccanismi superflui.
Un sistema sostenibile, basato su scelte semplici, connessioni comprensibili: se sai fare le cose, bene: questo è il tuo posto; se non le sai fare, ma le vuoi imparare, bene: questa è la tua occasione; ma se non le sai fare e non le vuoi imparare, allora forse è più giusto che quel posto lo valorizzi - attenzione: valorizzi, non occupi - una persona più appassionata e competente, tutto qua.
Semplice e logico, come i fiori.
Viviamo tutti un momento critico: per i più giovani sono difficoltà respirate attraverso i pori della pelle tutti i giorni, tutti i santi giorni, festivi e feriali chissà per quanto tempo. Per i loro genitori è l'ansia di non aver saputo costruire nulla di più solido di un'effimera precarietà che in troppi hanno l'impudenza di chiamare "flessibilità". Per la generazione dei nonni è piuttosto la confusione, a tratti l'impotenza e un potere che è quasi una condanna, condanna a restare, loro malgrado, nei ricordi degli altri come quelli che non hanno capito.
In questo periodo più che mai credo che sul lavoro dovrebbe essere declinata la pertinenza, nel pieno del suo significato: le persone dovrebbero svolgere il lavoro per cui si sono preparate, appassionate. Dovrebbero svolgere un lavoro che sanno fare bene, e solo quello: le parrucchiere non dovrebbero sbagliare colore o piega, i meccanici non possono sbagliare i pistoni. I giornalisti devono usare l'obiettività, e se non la conoscono che la imparino o si diano al romanzo.
C'è fin troppa gente in giro che si accontenta di un lavoro qualunque mentre cerca il lavoro di una vita, e che nell'accontentarsi però si appoggia come stampelle a serietà e professionalità e va avanti dignitosamente.
Per contro c'è pure fin troppa gente che scivola su allori regalati, dalle capacità evanescenti che occupano spazi impropri, gonfiati come grigie bolle di sapone dall'insolenza e la tracotanza.
Dovremmo andare verso un'ecologia del lavoro, riflettere su un sistema sostenibile e più giusto, che non preveda sprechi e scorrettezze, che rimetta tutto al suo posto, che rifiuti meccanismi superflui.
Un sistema sostenibile, basato su scelte semplici, connessioni comprensibili: se sai fare le cose, bene: questo è il tuo posto; se non le sai fare, ma le vuoi imparare, bene: questa è la tua occasione; ma se non le sai fare e non le vuoi imparare, allora forse è più giusto che quel posto lo valorizzi - attenzione: valorizzi, non occupi - una persona più appassionata e competente, tutto qua.
Semplice e logico, come i fiori.
venerdì 5 agosto 2011
Italia e nuvole
In Italia è notte, è ancora notte alle 9 del mattino.
Ci muoviamo come quando si è al buio, senza distinguere le forme, gli oggetti e le persone, sbattiamo l'uno contro l'altro, cerchiamo una strada alla cieca; nessuno sa bene dove andare, cosa fare, cosa lo aspetta nella prossima mezz'ora.
Gli occhi degli amici sembrano sospettosi, le mosse sono furtive, tutto è ombra nell'ombra. Siamo tutti così perplessi, che anche quando arriverà la luce ci troverà impreparati, che andiamo a tentoni su e giù perché ancora non ci sapremo muovere.
In Italia è notte, è ancora notte.
Tutto è informe nel buio. Io riesco a distinguere solo i ragazzi come me, giovani non più giovani dal futuro già anziano. Una nuvola nell'ombra, già dimenticati, sovrastati da altri problemi. Distinguo le famiglie con i figli appesi al collo e gli anziani sulle spalle, tanti Enea che si fanno carico dei propri padri. Distinguo titoli su titoli, accumulati con belle speranze. Distinguo la forza e la speranza, il sacrificio ed il sorriso, la sveglia la mattina presto e le nottate sui libri, il discount e il bricolage, le biciclette e i passeggini, la tecnologia e l'ecologia.
Li distinguo perché quella nuvola è bianca, luminosa, esplosiva. Si muove, si allarga e, nonostante il buio, sorride.
Si muove e cerca di trascinare tutto il resto, di andare avanti, di attirare e trasmettere energia, innovazione e forza.
Non è autosufficiente, non può resistere all'infinito. Ha bisogno di sostegno e di fiducia, ha bisogno d'aria e d'acqua per spumeggiare e crescere.
Non lasciateci soli nella nostra nuvola, non trascinateci nel vostro buio.
Ci muoviamo come quando si è al buio, senza distinguere le forme, gli oggetti e le persone, sbattiamo l'uno contro l'altro, cerchiamo una strada alla cieca; nessuno sa bene dove andare, cosa fare, cosa lo aspetta nella prossima mezz'ora.
Gli occhi degli amici sembrano sospettosi, le mosse sono furtive, tutto è ombra nell'ombra. Siamo tutti così perplessi, che anche quando arriverà la luce ci troverà impreparati, che andiamo a tentoni su e giù perché ancora non ci sapremo muovere.
In Italia è notte, è ancora notte.
Tutto è informe nel buio. Io riesco a distinguere solo i ragazzi come me, giovani non più giovani dal futuro già anziano. Una nuvola nell'ombra, già dimenticati, sovrastati da altri problemi. Distinguo le famiglie con i figli appesi al collo e gli anziani sulle spalle, tanti Enea che si fanno carico dei propri padri. Distinguo titoli su titoli, accumulati con belle speranze. Distinguo la forza e la speranza, il sacrificio ed il sorriso, la sveglia la mattina presto e le nottate sui libri, il discount e il bricolage, le biciclette e i passeggini, la tecnologia e l'ecologia.
Li distinguo perché quella nuvola è bianca, luminosa, esplosiva. Si muove, si allarga e, nonostante il buio, sorride.
Si muove e cerca di trascinare tutto il resto, di andare avanti, di attirare e trasmettere energia, innovazione e forza.
Non è autosufficiente, non può resistere all'infinito. Ha bisogno di sostegno e di fiducia, ha bisogno d'aria e d'acqua per spumeggiare e crescere.
Non lasciateci soli nella nostra nuvola, non trascinateci nel vostro buio.
Iscriviti a:
Post (Atom)