Andando oltre le parole utilizzate, che non dovevano essere quelle, l'idea di base la condivido da sempre: evitare accuratamente il lavoro che dura una vita per cercare ogni giorno di fare quello che più mi piace!
E così non mi sono iscritta alla scuola di specializzazione per l'insegnamento, pur sapendo che nel giro di poco tempo magari sarei passata di ruolo e avrei avuto accesso al posto fisso. Ho evitato accuratamente di causare traumi a generazioni di alunni incolpevoli e di incatenarmi a vita ad un ruolo che prima o poi (prima, molto prima...) mi avrebbe stancata, annoiata.
Effettivamente sapere oggi che fra trent'anni farò ancora la stessa cosa, un po' mi angoscia.
Adesso vivo sulle montagne russe, come un po' tutti i precari credo, fra i picchi di entusiasmo e adrenalina degli incarichi nuovi, dei progetti che iniziano, dei lavori che si avviano, e le cadute brusche dei "no" messi in fila come perle, dei ritardi nei pagamenti, dei dubbi del domani.
Certo ci sono estremi di finte collaborazioni che obbligano la partita IVA, di contratti firmati in bianco con clausole ignote e altre terribili pratiche che non possono essere tollerate, ma in qualche modo è chiaro a tutti che il nostro sistema non è più sostenibile e che quindi qualcosa la dobbiamo cambiare.
Potremmo andare anzitutto verso una flessibilità interna ad un posto di lavoro comunque garantito, perchè non è detto che, pur mantenendosi all'interno di una certa organizzazione o di una certa azienda, di uno stesso ente, non si possa ad un certo punto cambiare ruolo o funzione quando lo si voglia. Certo lo stato è un gran macchinone e non può stare alla mercè di chi all'improvviso decide di essere stufo di un compito e vuole cambiarlo, ma si potrebbe cominciare a pensare ad una scansione temporale entro cui al lavoratore viene chiesto di decidere che strada prendere, magari con step pluriennali.La pianificazione faticosa, la strada è lunga, ma non è detto che non si trovi un soluzione.
Dicono che il nostro nuovo modello di organizzazione del lavoro è la Danimarca e io ci spero tanto!
I danesi mediamente, nella loro vita professionale, cambiano 7-8 lavori, girano da un'azienda all'altra, da un progetto all'altro sapendo che, investendo su se stessi, il prossimo lavoro è sempre dietro l'angolo.
L'importante è che del modello danese ci arrivi tutto, ma proprio tutto: le possibilità e la vastità di offerte che rendano il precariato attuale una flessibilità interessante, l'assistenza sociale che copre ogni momento della vita e non la latitanza del welfare italiano, la parità di accesso al mondo del lavoro per tutti, l'ottimismo, l'intraprendenza e tanto altro.
Personalmente poi non mi piace avere paura dei cambiamenti, che magari portano con sè l'opportunità che cerchiamo da una vita!
Forza ragazzi, ottimismo! A quanto pare, non c'è del marcio in Danimarca e se portano in Italia il modello danese... A noi ragazze va in ogni caso bene!
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