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13/104 è il numero magico, e ora? E ora è tutto da scoprire, sicuramente il meglio arriva da adesso in poi... Buona lettura!


giovedì 29 novembre 2012

Educare alla cultura

Troppo spesso ormai chi lavora in ambito culturale dimentica un dettaglio fondamentale: qualunque sia il suo ruolo, la sua provenienza, la sua missione, dovrebbe pensare che lavora a servizio di qualcuno, lavora a beneficio di un'esperienza culturale che 1, 100 o 1.000 persone hanno diritto a vivere nel migliore dei modi, anche se si trattasse di un servizio gratuito.
L'idea di servizio, in certi ambiti, in realtà non ci appartiene: ne sono l'esempio palese certe aziende dei trasporti che quando i loro mezzi sono in ritardo, piuttosto che scusarsi per i disagi, cercano ogni escamotage per risparmiare sui rimborsi o addirittura sul semplice buono-pasto che scatta superato un certo numero di ore di ritardo.
Nei lavori della cultura, però, l'assenza di spirito di servizio al partecipante, che sia una mostra, un concerto, o anche solo l'acquisto di un libro, in certi casi è davvero lampante.
Una mia amica ad esempio è stata protagonista di un episodio per me pazzesco: biglietti omaggio per una famosa mostra in corso a Milano, nonostante questo ore di fila; bambini curiosi di vedere i quadri di un famoso pittore, ore di fila; gruppetto partito appositamente da Biella per dedicare una domenica alla cultura, ore di fila; programmi saltati, per colpa di queste ore di fila, impossibilità di accedere, per ore di fila... E potrei continuare.
Cosa ha fatto, secondo voi, la gloriosa istituzione? Ha rigirato l'omaggio su un'altra data? Ha offerto un intrattenimento adatto ai bambini per non farli stancare? Si è scusata? No!
La gloriosa istituzione si è lasciata rappresentare dalla guardia giurata in turno che ha approfittato della divisa indossata per trattare male e deridere pubblicamente i bambini che avevano osato chiedere quanto ancora sarebbe durata la fila! Per fortuna non c'è neanche bisogno di dire con chi hanno immediatamente solidarizzato gli altri presenti in fila, in particolar modo gli stranieri...
E' un episodio terribile, che racchiude tutto quello che non dovrebbe trovarsi nelle attività di un ente culturale: ha la maleducazione, la tracotanza, la mancanza di rispetto; ha l'assenza di riguardo verso bambini, adulti, italiani, stranieri. Ha una visione miope del pubblico come cliente al quale chiedere fino all'ultimo centesimo e non offrire altro che emozioni standardizzate. Ha l'incapacità di reinventarsi un problema (lunghe file all'accesso) trasformandolo in opportunità (area giochi? servizi didattici? servizi di ristoro? biblioteca temporanea?), ma soprattutto ha la vanesia e la superbia di chi vuole vedere solo i titoli sui giornali inneggiare alle lunghe code di attesa, come se l'emozione che ti da la partecipazione ad un'attività culturale si potesse misurare nei metri della fila alla porta o nella noiosità dei tempi di attesa.
Ci sono soggetti, enti, gruppi, che si specchiano nelle facce dei loro interlocutori, interpretandone bisogni e istanze, anticipandone i desideri, ricevendo la loro attenzione in cambio della quale regalano loro il proprio riguardo.
Altri soggetti, invece, sono appena stupidamente capaci di specchiarsi solo in sè stessi.

giovedì 15 novembre 2012

Tutta sua nonna

Oggi ho ricevuto una telefonata che mi ha ricordato un episodio accaduto più di un anno fa che mi sono sempre ripromessa di raccontare qui sul blog ma che è stato sempre scartato perchè non sono mai riuscita a trovare le parole adatte... Forse non ci sono riuscita neanche questa volta, ma ci provo...
Avevo da poco iniziato un nuovo lavoro, quindi nuovi colleghi, un nuovo ufficio (all'interno di una bellissima e frequentatissima biblioteca) e, ovviamente, tutta la voglia immaginabile di dare un'ottima impressione, da professionista seria.
Una mattina mi telefonano dal banco prestiti all'ingresso e mi dicono che ci sono alcuni miei amici, passati a salutarmi. Mentre scendo le scale mi domando chi potrebbero essere questi amici, in un orario da lavoro... Giro l'angolo e mi trovo a 4-5 metri quattro persone, età media 70 anni.
Uno di loro, che giuro non avevo mai visto, urla in dialetto siciliano, che traduco per tutti: "sei precisa a tua nonna, Angelina "la lanternara"! (Angelina, nonna paterna, era detta "la lanternara" perchè durante la guerra, marito al fronte e quattro figli, aveva una bottega in cui vendeva di tutto, lanterne incluse, ndr.).
La biblioteca in quel momento era strapiena di giovani studenti, mamme nella sala infanzia, anziani dell'emeroteca, bibliotecari, fattorini: tutti, si sono girati tutti. Prima a guardare lui e poi verso di me, che velocemente cambiavo colore neanche avessi corso i 100 metri. Pure le copertine dei libri si sono girate a guardarmi! Pure loro cercavano di immaginare la somiglianza.
Un momento di imbarazzo lungo, infinito, ma evidentemente non abbastanza, ancora poteva durare!
E infatti la donna accanto a lui, anche lei mai vista, sbotta: "ma che dici, ma non lo vedi che è precisa a Laura??? Tutta sua madre è!" (Laura, mia mamma, quindi nessuna immaginabile somiglianza con la nonna paterna di cui sopra, ndr.). Di nuovo i presenti, libri inclusi, si girano dal loro lato e poi verso di me, che non riesco a fare altro che abbozzare un sorrisino e bisbigliare "ma che ne dite di prendere un caffè fuori?".
La scena, come potete immaginare, aveva un sapore vagamente ondeggiante fra il folkloristico e il comico, con tutti i presenti che mi guardavano ridacchiando incuriositi.
Prendo gli amici sotto braccio e piano piano li guido verso il bar, togliendomi dal contesto più imbarazzante che mi fosse capitato a lavoro!
Mi presento, ma non è necessario, loro mi conoscevano benissimo! Erano dei compaesani amici - forse anche parenti - di mio papà emigrati al nord che mi hanno vista crescere (...?) da estate a estate.
Alla fine erano pure simpatici, ci siamo aggiornati fino al settimo grado di parentela e ci siamo ripromessi di vederci presto ("si, ma altrove", mi verrebbe da dire)...
L'indomani mi sento osservata e vedo sorrisini ironici... Una sola non riesce a trattenersi, la bibliotecaria del banco prestiti: mi guarda e... "Ma che lavoro faceva sua nonna...?"!

sabato 10 novembre 2012

Ritorno al futuro

Qualche giorno fa mi sono ritrovata nel mezzo di un "career day", uno di quegli eventi organizzati dalle università che prevedono incontri fra alunni in cerca di sedi per stage e aziende in cerca di stagisti (e spesso la ricerca dei primi legittima le seconde a non pagarli, con la scusa che "è per la vostra formazione", ma per ora soprassediamo su questo aspetto).
Ero lì per raccogliere un po' di nominativi e cv interessanti in vista di possibili nuovi progetti per conto di un'azienda con cui collaboro. Insieme ad un collega, siamo partiti pensando che avremmo fatto giri per gli stand, ci saremmo potuti presentare a grandi aziende, sviluppare contatti, dal momento che la nostra società è piccola e opera nel settore culturale che purtroppo non è economicamente così interessante come potrebbe, per cui, credevamo, di scarso interesse per gli studenti.
Illusi... Appena hanno aperto l'accesso agli studenti c'è stato l'assalto al nostro stand! Decine di ragazzi a fare la coda per lasciare il loro curriculum e giocarsi non so bene cosa in colloqui che più trascorrevano le ore, più si abbreviavano per lasciare spazio a tutti.
E così ho potuto osservare direttamente questi ragazzi mettere su carta il loro passato, il loro presente e, soprattutto, il loro futuro. Facce pulite e spaesate, furbetti da "un giorno in meno in aula", scaltri da "armiamoci e partite", intelligenti da "ecco le mie capacità e il mio impegno, eccomi qui".
Quello che mi ha colpito di più è un elemento che accomunava molti di loro: sia i più preparati che i più avventurieri non avevano minimamente idea di quali siano le figure professionali principali del nostro settore, quali i ruoli, i compiti, le attività. Ferratissimi dal punto di vista teorico, assolutamente bianchi sui risvolti pratici della professione.
E' vero che molte cose le si impara lavorando e che proprio l'esperienza ti fa capire verso quale settore vorresti indirizzare la tua attività, però sento parlare da quando ero studente di avvicinamento fra università e mondo del lavoro e se i risultati dopo 15 anni sono questi, c'è davvero da riflettere!
Chiariamo: io non sono per una formazione tecnica che abbia il sopravvento sui contenuti scientifici e culturali, credo anzi che l'università debba proprio cercare di ampliare e approfondire il più possibile il bagaglio di conoscenze con le quali ciascuno di noi vi arriva.
In questo bagaglio, però, dovrebbe ricordarsi di inserire anche informazioni concrete e prospettive il più possibile realistiche su quello che è o, meglio ancora, sarà il mondo del lavoro.
Questo non significa solo favoleggiare sui più grandi che ce l'hanno fatta, chè va bene che favoleggiare fa nascere sogni, ma spesso fa anche crescere illusioni. Significa anche spiegare ai ragazzi che stanno studiando per diventare A, B e C, ma potrebbe loro capitare per più o meno tempo di essere D o appassionarsi ad E, o virare su tutt'altra Z qualsiasi.
Non è ammissibile che dopo anni di tasse, ore in aula, giornate di studio, i ragazzi debbano poi entrare nel mondo del lavoro così inconsapevoli sui propri diritti, doveri, sulle loro stesse aspettative e su quanto gli altri attendono da loro.
Basterebbe davvero poco: uffici di orientamento e accompagnamento efficienti, coordinamento stage e tirocini che lavorassero non per affibbiare agli studenti un posto dove passare un paio di mesi, ma pensassero a fornire loro un reale contesto di crescita. Non voglio generalizzare, in molte università tutto questo c'è e funziona bene, ma sono sicura che si può sempre migliorare.
Basterebbe poco, che l'Italia invertisse la rotta e reintroducesse la parola "Futuro" nel dizionario del quotidiano e anche le università si adeguerebbero al cambiamento.

sabato 3 novembre 2012

Riorganizzazione

Tante piccole cose stanno cambiando in questi giorni nel mio lavoro semplicemente perchè ho iniziato a ripensarmi un po'.
Anzitutto ho cambiato postazione: prima era in cucina, calda e accogliente, ma con vista sui palazzi di fronte, ora è in una stanza uso studio, uso stireria, uso palestra, uso deposito, termosifone sotto ai piedi e bellissima vista su un gran giardino mille colori.
Ho cambiato il modo di presentarmi, rivedendo l'immagine degli strumenti di lavoro: ho ideato una linea grafica per carta intestata, portfolio, curriculum, che mi ha dato grande soddisfazioni! La grafica è semplicissima in realtà, qualunque web design la guarderebbe con tenerezza e ironia, ma siccome sono riuscita a far corrispondere aspetto grafico con una riflessione sui contenuti, allora sono contenta e soddisfatta.
Anche la composizione del portfolio è stata complessa, avendo un curriculum tutt'altro che choosy ho riflettuto giorni per valutare se inserire i progetti per settore, per tipologia di attività, cronologia, dimensioni... Togliendo colori, aggiungendo esperienze, modificando forme e parole, alla fine è venuto fuori un portfolio dignitoso... Che fatica!
Ho riorganizzato la documentazione, sia cartacea che in file: ora i ripiani della libreria hanno un loro perchè e nel computer è più facile trovare quello che cerco.
Con uno scampolo di nappa arancio ho realizzato un tappetino per il mouse, con altri ci farò un tappeto per la stanza.
Devo solo aggiornare il profilo sui social network professionali e il lavoro è quasi concluso.

Il lavoro di riorganizzare il proprio lavoro è complesso ma piacevole.
Arrivi ad un punto in cui diventa necessario: devi fermarti un paio di giorni e rivedere tutto l'insieme, altrimenti hai la sensazione che qualcosa ti stia sfuggendo di mano. E magari riemergono idee e riflessioni che sedimentano da mesi, crescendo dentro fino a trovare sfogo tutte insieme: idee di nuovi progetti, nuovi tentativi, nuovi percorsi.
Fermarsi a riflettere, provando a guardarsi con obiettività, è fondamentale per proseguire nel modo migliore. Ho capito, per esempio, che in certi periodi ci si appoggia su finte certezze e si fanno diventare alibi o problemi insuperabili quisquilie alle quali solitamente non si da alcun peso.
Ho capito, ma ri-capito sarebbe più adatto, che in contesti dalle dinamiche poco chiare, troppo impegno non sempre è premiato, per cui forse è meglio indirizzarlo altrove.
Visto da fuori, sembra che stia semplicemente facendo ordine, in realtà mi sembra di aiutarmi a ripartire meglio... Consapevolezze che fanno stare bene in un sabato pomeriggio con un buon caffè.