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13/104 è il numero magico, e ora? E ora è tutto da scoprire, sicuramente il meglio arriva da adesso in poi... Buona lettura!


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lunedì 17 novembre 2014

Me lo(ve) merito

La riforma del lavoro ancora non abbiamo capito come sarà, ma ha già dato il la a tutte le forme di confronto verbale immaginabili comprese nell'arco che va dal chiacchiericcio al dibattito, con una tale varietà di posizioni ed interpretazioni che sento il bisogno di un sig. Bignami dei tempi odierni che mi fornisca il compendio.
Spicca, nel mezzo delle eccentricità urlate come saldi di fine stagione (perchè almeno questo, che viviamo in un clima da fine stagione, è tristemente chiaro a tutti), l'affermazione di Nonsochi che sostiene che avere il merito come principio guida di una qualsivoglia riforma sia profondamente sbagliato, perchè parrebbe essere tale merito - sconosciuto ai più nel nostro Paese - niente meno che nemico dell'uguaglianza, che invece risulterebbe essere sorella gemella della giustizia sociale.
In questa occasione non mi esprimo sulla prossima ennesima riforma del lavoro (i vecchi lettori del blog avranno già avuto un sussulto di sorpresa nel vedermi tornare online, figurarsi se posso dare loro un altro colpo cominciando pure ad affrontare seriamente i discorsi!), ma su questa potenziale inimicizia fra merito ed uguaglianza non posso sorvolare, perchè sinceramente non la capisco.
Se uguaglianza è dare a tutti nella stessa misura opportunità, basi, strumenti, speranze - e lunga vita all'uguaglianza! - dove starebbe l'inconciliabilità con il riconoscimento del merito, cioè premiare ciascuno in base al proprio impegno e capacità? (Impegno e capacità insieme, attenzione, perchè l'uno senza l'altro vicendevolmente non sono sufficienti).
Quando in qualche modo il meccanismo della vita si inceppa per questioni legate alla giustizia o alla salute ad esempio, pretendiamo per noi, giustamente, il meglio, cercando il merito e riconoscendogli anche un valore aggiunto a livello economico talvolta spropositato rispetto al valore intrinseco. Ma questo merito, se non lo abbiamo coltivato, accompagnato e cresciuto, come possiamo trovarcelo davanti, disponibile e pronto per le nostre esigenze?
E soprattutto, questo merito magari di famiglia sfortunata, coperto ed offuscato dal brillare vuoto di tanta banalità impreziosita da dinamiche di affiliazione e strane forme di cooptazione, se non avesse avuto che so, una borsa di studio di supporto, strumenti da utilizzare durante la propria formazione, la sicurezza di una stanza nei collegi per gli studenti, questo merito dicevo sarebbe mai arrivato fin davanti a noi, a salvarci la vita, a difendere la nostra dignità, a confortarci con la parola giusta?
Suona come una terzina, che non scivola via nella rotazione della erre ma si ferma perentorio grazie alla ti: merito, come la continua crescita di chi non sfugge a sè stesso, di chi resta e da e - sarebbe pure ora, caro Stato! - riceve.

venerdì 12 aprile 2013

Contro gli sprechi

Peggio della mancanza di lavoro, secondo me, c'è solo lo spreco di lavoro. E più è alta la penuria di lavoro, più è offensivo il suo spreco.
Viviamo tutti un momento critico: per i più giovani sono difficoltà respirate attraverso i pori della pelle tutti i giorni, tutti i santi giorni, festivi e feriali chissà per quanto tempo. Per i loro genitori è l'ansia di non aver saputo costruire nulla di più solido di un'effimera precarietà che in troppi hanno l'impudenza di chiamare "flessibilità". Per la generazione dei nonni è piuttosto la confusione, a tratti l'impotenza e un potere che è quasi una condanna, condanna a restare, loro malgrado, nei ricordi degli altri come quelli che non hanno capito.
In questo periodo più che mai credo che sul lavoro dovrebbe essere declinata la pertinenza, nel pieno del suo significato: le persone dovrebbero svolgere il lavoro per cui si sono preparate, appassionate. Dovrebbero svolgere un lavoro che sanno fare bene, e solo quello: le parrucchiere non dovrebbero sbagliare colore o piega, i meccanici non possono sbagliare i pistoni. I giornalisti devono usare l'obiettività, e se non la conoscono che la imparino o si diano al romanzo.
C'è fin troppa gente in giro che si accontenta di un lavoro qualunque mentre cerca il lavoro di una vita, e che nell'accontentarsi però si appoggia come stampelle a serietà e professionalità e va avanti dignitosamente.
Per contro c'è pure fin troppa gente che scivola su allori regalati, dalle capacità evanescenti che occupano spazi impropri, gonfiati come grigie bolle di sapone dall'insolenza e la tracotanza.
Dovremmo andare verso un'ecologia del lavoro, riflettere su un sistema sostenibile e più giusto, che non preveda sprechi e scorrettezze, che rimetta tutto al suo posto, che rifiuti meccanismi superflui.
Un sistema sostenibile, basato su scelte semplici, connessioni comprensibili: se sai fare le cose, bene: questo è il tuo posto; se non le sai fare, ma le vuoi imparare, bene: questa è la tua occasione; ma se non le sai fare e non le vuoi imparare, allora forse è più giusto che quel posto lo valorizzi - attenzione: valorizzi, non occupi - una persona più appassionata e competente, tutto qua.
Semplice e logico, come i fiori.

lunedì 8 ottobre 2012

I miei diritti

Oggi ho rivendicato ed esercitato un diritto, il diritto di indignarmi davanti all'ignoranza, alla mancanza di merito, all'insolenza.
Dicono che i soggetti più pericolosi con i quali avere a che fare siano gli stupidi. Loro rappresentano sì una gran perdita di tempo e, talvolta, di occasioni, ma uno stupido buono, un sempliciotto, si lascia indirizzare ed è capace di darti tanto, che poi magari è poco secondo certi parametri, ma diventa tanto in relazione con il suo modo d'essere e le sue capacità.
Non è dunque alla stupidità, che mi sono indignata.
Poi  è arrivato un certo modo meschino, di confondere i presenti per coprire le proprie mancanze. Questo modo di fare, di ingarbugliare le discussioni, di mimetizzarsi senza la bellezza del camaleonte e privo di un'astuzia intelligente, purtroppo, è sempre più diffuso in qualunque ambito delle nostre vite, delle nostre giornate: vedi amanti che non hanno il coraggio di lasciarsi con schiettezza e inventano scuse qualsiasi, vedi negozianti che ti dicono che ti sta benissimo quel vestito che ti fa sembrare informe, vedi consulenti che tirano per le lunghe favoleggiando su difficoltà che solo loro possono risolvere, e allora contestualizzi la meschinità.
Alla meschinità ho cominciato ad indignarmi, ma in maniera contenuta.
C'è stato poi un delirio di parole vuote, di pressapochismo, di difese indifendibili, di unghie che si aggrappano allo specchio e di specchi che non hanno nulla da riflettere. C'è stata la tracotanza, al giorno d'oggi poco citata ma molto praticata, ci sono state accuse false contro assenti che non avevano parole; c'è stato un innalzamento di toni e una presa di confidenza che nessuno aveva mai dato, c'è stata cattiveria, quella cattiveria figlia della piccolezza, la cattiveria più infima.
Tutte insieme sono arrivate, con la cattiveria, anche l'ignoranza, che subito ha tolto il velo alla mancanza di merito, e l'insolenza, che voleva rimettere a posto quel velo ma aveva mano troppo poco delicata per riuscirci.
Alla cattiveria, all'ignoranza e all'insolenza non ho resistito.
Non ho resistito e mentre argomentavo, rispondevo, illustravo con dati certi e verificabili, ho preso coscienza che stavo parlando con la mancanza di merito, quella che fa dire qualunque stupidaggine, qualunque meschinità, qualunque cattiveria come se nulla fosse, perchè tanto non ci si è mai preoccupati di riflettere, pensare, valutare.
E alla mancanza di merito sono esplosa.
Ho alzato la voce, mi sono alterata, ho usato parole pesanti, ho sbagliato, ma la mancanza di merito, e la sua legittimazione, no, non ho più la pazienza di accettarle.

Credo non sia servito a niente, se non ad illudermi di aver dato un contributo ai diritti dei giovani lavoratori che provano a mettersi in gioco, a rischiare, che investono nella propria formazione e rispettano il proprio lavoro e quello altrui, che magari leggendo questo post troveranno il coraggio o la leggerezza necessari per pretendere rispetto e competenza dalle persone con cui lavorano.